La presenza di acqua, sottoforma di vapore, è sempre un problema nelle lavorazioni in vuoto. Le molecole di H2O, infatti, sono fortemente polari a causa della forte differenza di elettronegatività (ovvero della capacità di attrarre a sé gli elettroni di legame), rispettivamente, dell’atomo di ossigeno rispetto ai due di idrogeno. Conseguenza di questa caratteristica su scala sub-nanometrica, è la forte tendenza delle molecole d’acqua di aderire sulle superfici metalliche o su quelle di materiali in grado di dare legami secondari o legami idrogeno. Nel caso dei metalli e, più nello specifico, nel caso dell’acciaio inossidabile, è la presenza dello strato di ossido di cromo superficiale, protettivo, che offre un ottimo “aggancio” alle molecole di H2O. Inoltre, nei materiali lavorati può essere presente acqua chimicamente adsorbita sulle superfici o -in taluni casi- presente nella struttura del materiale stesso.
Quest’acqua deve essere eliminata dal sistema di pompaggio disponibile in un determinato impianto per lavorazioni in vuoto, allungando notevolmente i tempi necessari per il raggiungimento del grado di vuoto base richiesto. Ciò che accade comunemente, infatti è che la cinetica di pompaggio del vapore acqueo è determinata e spesso dominata, oltre che dalla capacità delle pompe disponibili, anche dalla cinetica di desorbimento delle molecole di acqua “ancorate” sulle superfici metalliche e su quelle dei substrati da trattare. Per questo motivo, è abbastanza comune l’impiego di sistemi di riscaldamento interni alla camera a vuoto atti a velocizzare il rilascio della maggior parte del cosiddetto “water load” presente.
Il pompaggio del vapore acqueo rappresenta, in ogni caso, un problema di per sé in quanto molte tipologie di pompe per vuoto -ed in particolare quelle rotative in bagno di olio - presentano dei limiti da questo punto di vista, in funzione anche del particolare tipo di olio di sigillatura impiegato. Infatti, l’acqua che transita attraverso una pompa di questo tipo, può accumularsi nell’olio presente, aumentando il valore della pressione base ottenibile e degradando, quindi, le prestazioni della macchina.
Ci si può chiedere, dunque, se esistono sistemi alternativi per gestire il “water load”, soprattutto in casi in cui quest’ultimo è cospicuo, con l’obiettivo di evitare che il vapore acqueo transiti attraverso il sistema di pompaggio, ma eliminandolo comunque dall’ambiente di lavoro. Un esempio pratico, con cui ci siamo dovuti confrontare, riguardava la necessità di evaporare rivestimenti metallici a scopo decorativo su substrati in carta. La carta è un materiale a base di cellulosa, che risulta essere pertanto molto idrofilo: il “water load” in questo caso può essere molto elevato e la cinetica di desorbimento molto lenta. Si tratta, pertanto di un’applicazione difficilmente gestibile da un sistema di pompaggio standard, basato sull’impiego di una pompa rotativa in bagno d’olio.
Una possibilità, che spesso viene tirata in ballo dai progettisti, riguarda l’impiego di un sistema in grado di congelare il vapore acqueo, all’interno della camera a vuoto, su una superfice opportunamente raffreddata. In linea di principio, un gruppo frigorifero esterno potrebbe essere utilizzato per realizzare un flusso di un fluido termovettore che, scorrendo all’interno di una serpentina metallica posta all’interno della camera a vuoto, potrebbe “catturare”, congelandolo, il vapore acqueo presente.
Per ottenere questo effetto, sempre in linea teorica, basterebbe che il fluido termovettore avesse una temperatura inferiore a 0 °C, ovvero il punto di congelamento dell’acqua: ciò consentirebbe di risolvere il problema impiegando gruppi frigoriferi molto economici ed ampiamente disponibili in commercio.
Purtroppo, la realtà dei fatti, come spesso accade, è ben diversa. Infatti, il solo fatto che un materiale sia allo stato solido, non garantisce che la pressione di vapore del materiale stesso, alla temperatura in cui si trova, sia sufficientemente bassa. La tensione di vapore è la pressione di equilibrio del sistema solido-vapore considerato, la quale dipende, oltre che dalla chimica del sistema, anche dalla temperatura. Ad esempio, esistono molte sostanze solide che hanno una tensione di vapore rilevante: un esempio pratico è il naftalene. Il processo mediante il quale da un materiale solido di liberano vapori dello stesso, senza passare per lo stato liquido, è perfettamente possibile e si chiama sublimazione.
Nel caso del ghiaccio d’acqua, la tensione di vapore è notevolmente elevata: ad esempio, a -25 °C è di ben 6.7 mbar, a -70 °C è di 2x10-2 mbar, mentre per raggiungere valori base accettabili per una normale lavorazione in vuoto, come ad esempio 1x10-5 mbar, è necessario scendere a ben -112 °C!
Pertanto, l’impiego di normali gruppi frigoriferi per questa applicazione è escluso, in quanto il limite inferiore di temperatura raggiungibile in un normale sistema monostadio si attesta intorno ai -50 °C.
È pertanto necessario impiegare, qualora si volesse adottare questa strategia per la gestione del “water load”, un sistema più complesso, basato ad esempio:
• su un sistema frigorifero bistadio. Commercialmente, tale strategia è stata implementata in diversi sistemi, tra i quali il più famoso è probabilmente il cosiddetto “Polycold”.
• Su altri sistemi in grado di raggiungere le basse temperature richieste: ad esempio, può essere impiegato un sistema basato sulla circolazione di azoto liquido (-196 °C), oppure -per carichi termici inferiori- sull’impiego di raffreddatori Stirling.
L’impiego di sistemi criogenici per la gestione del “water load” in un impianto di deposizione in vuoto è una strategia possibile, tuttavia non è consigliabile il “fai da te”, in quanto le basse temperature necessarie non sono raggiungibili con sistemi di raffreddamento semplici ed economici. È necessario che le superfici raffreddate, in grado di catturare il vapore acqueo si trovino a temperature di almeno -110 °C, rendendo indispensabile l’impiego di attrezzature abbastanza sofisticate e costose.